No ai patch test, sì ai test in vitro
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La normativa
A livello europeo il settore cosmetico è regolamentato dal Reg.1223/2009. Nel Regolamento si parla però solo di valutazione della sicurezza del prodotto e l’unico test inserito come obbligatorio, se pertinente, è il challenge test.
In base alla normativa di riferimento l’azienda produttrice non è quindi obbligata ad effettuare test su cosmetici, a parte il challenge test, in quanto essi sono facoltativi.
Per nessun prodotto vi è l’obbligo di test dermatologici o test in vitro; la condizione imprescindibile è che il prodotto non rechi danno al consumatore e l’unico obbligo è quello di redigere ed avere un PIF che comprovi la sicurezza del prodotto e saper supportare le informazioni dichiarate in etichetta.
I rischi
Inoltre, i prodotti cosmetici per essere commercializzati non devono essere preventivamente autorizzati da terzi e non sono sottoposti a controlli da parte di Enti o Autorità preposte prima dell’immissione in commercio, esiste il reale pericolo di esporre il consumatore a dei rischi, rendendolo cavia del prodotto.
Il rischio per le aziende è quello di incorrere, in caso di segnalazione di eventi avversi secondo quanto previsto dalle linee guida Colipa “Sue reporting guidelines”, in eventuali richiami o ritiro di prodotto, con conseguente danno economico, d’immagine fino ad arrivare a sanzioni penali.
Di conseguenza nella valutazione della sicurezza, in cui devono essere presi in considerazione più aspetti, spesso diviene fondamentale, soprattutto in presenza di determinate sostanze o caratteristiche chimico fisiche del prodotto, l’effettuazione di test a supporto. Come specificato non si tratta di verifiche previste in forma obbligatoria dalla legge, ma eseguite volontariamente dall’azienda cosmetica per avere conferma della buona tollerabilità cutanea dei prodotti.
Le diverse tipologie di test
Vi sono studi in vivo (es. patch test, stinging test, in use test) effettuati in condizioni rigorosamente controllate, sotto la supervisione di un medico; gli individui che partecipano volontariamente allo studio devono essere in buone condizioni di salute e debitamente informati sulle finalità dell’indagine.
Questa metodologia di test però sposta il ruolo di “cavia” di prodotto dal consumatore finale, al volontario informato!
Vi sono pertanto molti dubbi sull’eticità di tale prassi perché, pur nel pieno rispetto dei principi etici riportati nella Dichiarazione di Helsinki, il rischio concreto è di creare eventuali reazioni allergiche o sensibilizzazione permanente sul volontario.
Pertanto, un approccio più graduale e con meno rischi è quello di effettuare una prima valutazione del prodotto affidandosi a test in vitro che seguono protocolli standard e che riescono a fornire importanti informazioni predittive. La combinazione di diversi test in vitro nell’ambito di una Strategia di Testing Integrata (ITS) per la valutazione della sicurezza permette di offrire maggiore predittività all’approccio analitico ed è una solida base per la valutazione della sicurezza.
Questo tipo di approccio consente anche di testare simultaneamente più formulazioni ed effettuare una valutazione preliminare sulla tollerabilità del prodotto e quindi sul passaggio allo step successivo che potrà essere il test in vivo.
La soluzione
Una strategia composta da un test preliminare in vitro con metodo Dermal irritection® e successivo test dermatologico con utilizzo di Patch test a 48 ore di esposizione su 12 volontari.
La valutazione dell’irritazione dermale di un prodotto cosmetico, tra le evidenze che l’Azienda (Persona Responsabile) deve produrre per il PIF è di importanza fondamentale.